Salvatore Arcidiacono e Pietro Pavone

Piante spontanee di interesse alimentare nella regione etnea

Barba di becco

Tragopogon porrifolius L.

Nome comune: Barba di becco

Famiglia: Compositae

Sinonimi: Salsefica, Sassefica, Salsefì, Bugia.

Adrano: Specie ritenuta non commestibile nel territorio

Belpasso: non rilevato

Biancavilla: non rilevato

Bronte: Specie ritenuta non commestibile nel territorio

Castiglione di Sicilia: Pedi di lupu

Linguaglossa: Brambascu

Maletto: Lattaroli

Milo: Latti d`aceddu

Nicolosi: Pampasciuscia, Cuttuneddu

Pedara: Stuppacanedda, Erba di S. Petru

Ragalna: Specie ritenuta non commestibile nel territorio

Randazzo: Barbabecchi

San Giovanni la Punta: Latti d`aceddu

Santa Venerina: non rilevato

Zafferana Etnea: Pistalaceddi, Latti d`aceddi


Etimologia: Il primo termine del binomio significa `barba di caprone` e deriva dal greco tragos = caprone e pôgôn = barba, in allusione al pappo sericeo dei frutti. Il secondo termine deriva dal latino con riferimento alla presenza di foglie simili a quelle del Porro (Allium porrum L.).

Descrizione: Pianta erbacea biennale, glauca, caratterizzata da una radice a fittone, ingrossata, legnosa, e da uno scapo eretto, alto 60-120 cm, provvisto di foglie lineari, con margine leggermente ondulato e guaina amplessicaule. Durante il secondo anno di vita, tra aprile e giugno, all’ apice del fusto si sviluppa, su un peduncolo piuttosto ingrossato, un capolino di ca. 6-7 cm di diametro, costituito da fiori bruno-violacei. I frutti sono acheni forniti di pappi sericei, chiamati in dialetto 'nanu', 'nannu' o 'naneddi'.

Ambiente: Luoghi erbosi per lo più umidi.

Parte utilizzata: Nella tradizione alimentare etnea, della Barba di becco si consumano i getti primaverili, formati dal fusto ancora avvolto dalle foglie appressate, che ricordano i turioni dell’Asparago.

Uso: I giovani getti della Barba di becco si cucinano lessati e si condiscono come le altre verdure. In qualche località, come Castiglione, a detta di alcuni si mangiano anche crudi in insalata per il loro sapore dolciastro.

Commercio: Nessun riscontro né notizie in merito.

Diffusione: Mentre in tutta la Sicilia e in genere nell’Italia meridionale, la Barba di becco viene ricercata dagli erborinatori per i getti primaverili, nell’Italia settentrionale si utilizza l’affine Tragopogon porrifolius L. var. sativus Gater. principalmente per la radice che si presenta piuttosto robusta e carnosa. Essa ha un sapore simile a quello delle noci e, secondo alcuni, ricorda addirittura quello delle ostriche (INDRIO, 1981). Il periodo di raccolta è antecedente a quello della fioritura. Si cucina lessata, alla griglia oppure fritta in pastella; si mangia anche condita con burro o in raffinate ricette con crema e formaggio (DE ROUGEMONT, 1990). Questa radice può essere anche tagliata in dischetti di 1-2 cm di spessore per essere essiccata al sole e poi conservata sotto vetro, come si fa con i funghi secchi. In passato, le radici essiccate venivano anche macinate per ricavarne una farina con la quale si confezionavano prodotti da forno, sia salati che dolci, fra cui i bignè. La radice tritata si utilizza anche come surrogato del caffè. Le giovani foglie, infine, si consumano cotte in minestre al posto degli spinaci (POMINI, 1956).

Notizie: - La Scorzobianca Tragopogon porrifolius L. var. sativus è un ortaggio conosciuto fin dall`antica Grecia ed attualmente molto diffuso in Francia e in altri paesi dell`Europa occidentale. Il pregio di questa pianta, derivata dalla Barba di becco selvatica, è dato dalla dimensioni della radice che è molto ingrossata e ricorda quella della Carota; essa è ricca di zuccheri (inulina, inositolo e mannitolo) che le conferiscono un sapore decisamente dolce. Per il suo colore, biancastro all`esterno e bianco candido all’interno, è volgarmente chiamata Scorzobianca. - Un delicato ombrello. Gli acheni, sormontati da un pappo piumoso a forma di ombrello, a maturità si staccano dal ricettacolo e restano facilmente in aria sostenuti dal vento. Dalle nostre parti, i ragazzi si dilettano a disperdere gli acheni soffiando su di essi; se questi nell`atterrare si depositano sui loro vestiti e vi aderiscono significa che l`anima di un loro vecchio parente defunto è venuta a visitarli. Da questa credenza deriva il nome u nannu dato a questi canuti fiocchetti. Nel Palermitano, invece, i fanciulli ritengono che gli acheni sospinti dal vento vadano nelle case a rubare quattrini; arrobba dinari, infatti, è il nome dato, in quelle località, agli acheni con pappo. Nel Veneto i ragazzi, soffiando sui pappi, pretendono di indovinare le bugie dette da ciascuno in relazione al numero di volte che bisogna soffiare sui capolini per riuscire a staccare completamente gli acheni. - Su altri nomi volgari. Il termine Bugia è collegato al gioco infantile di soffiare sopra i pappi degli acheni, appena citato. Salsefrica, e similari, è una deformazione di Saxifraga derivato dal latino saxum = sasso e frangere = spaccare, ovvero spaccasassi, in riferimento alla proprietà di frantumare i calcoli renali.

Ricette: Lessi Insalate